Tutela donne madri sul lavoro: normativa di riferimento e tutele accordate.
Cos’è la tutela donne madri in azienda ?
La tutela delle lavoratrici donne madri viene disciplinata da parte del Decreto Legislativo 151 del 2001 insieme al Decreto Legislativo 81 del 2008.
Il primo si caratterizza per essere il testo unico per la tutela della maternità e paternità e al suo interno ci sono diversi articoli che vanno a disciplinare anche il lavoro che riguarda le lavoratrici madri.
A definire il quadro normativo di riferimento ci pensa poi il Testo Unico sulla salute e sicurezza dei lavoratori.
Il D.Lgs integra il panorama con delle norme ben precise sulle lavoratrici in stato di gravidanza all’articolo 28, ovvero quello che riguarda l’oggetto della valutazione dei rischi.
Tutela donne madri sul lavoro: il TU 151/2001.
Il Decreto Legislativo 151 del 2001 è una delle due discipline, quindi, a cui fare riferimento per la sicurezza sul lavoro delle lavoratrici madri.
Al suo interno sono presenti le norme che vanno a regolare diversi aspetti interessanti.
Ad esempio i riposi, piuttosto che i congedi in merito alla maternità e paternità, e riporta una serie di norme dedicate proprio al supporto economico sia alla paternità che alla maternità.
La lavoratrice donna madre che è oggetto di questa specifica tutela ha l’obbligo di informare il datore di lavoro in merito allo stato di gravidanza.
Una scelta che porterà ad attivare delle norme specifiche in merito ai diritti previsti dalla legge italiana per le lavoratrici che si trovano in dolce attesa.
Il datore di lavoro, dal canto suo, deve gestire la responsabilità di tutelare in modo adeguato non solo la sicurezza, ma anche la salute in ambito lavorativo della lavoratrice donna madre in stato di gravidanza ed il nascituro.
Proprio per tale ragione, vige sul datore di lavoro l’obbligo di effettuare una valutazione, con l RSPP, il medico competente e l’ RLS circa i potenziali rischi che si trovano nell’ambiente di lavoro.
È proprio il documento di valutazione dei rischi che va a stabilire quali siano le attività e le mansioni che possono essere svolte anche dalle lavoratrici in gravidanza, puerpere oppure in stato di allattamento e quali, al contrario, no.
Comunicazione dello stato di gravidanza al datore di lavoro.
Il datore di lavoro non può imporre una visita medica alla propria dipendente per verificare l’eventuale stato di gravidanza, ma dovrà essere chiaramente la lavoratrice ad informarlo.
Senza tale comunicazione è difficoltoso assegnare alla donna madre compiti confacenti il proprio stato di salute.
Il Decreto del Fare, entrato in vigore nel 2013, ha sancito come l’obbligo di dare comunicazione dello stato di gravidanza al datore di lavoro spetta al medico curante.
Sarà quest’ultima figura ad occuparsi della trasmissione, sempre in via telematica, del certificato di gravidanza.
Egli dovrà inserire pure la data in cui presumibilmente avverrà la nascita, la certificazione relativa proprio all’evento del parto e, se fosse necessario, la certificazione legata all’interruzione di gravidanza.
Più nello specifico, il certificato medico relativo alla gravidanza della donna lavoratrice dovrà essere inviato dal medico curante all’INPS tramite via telematica, seguendo le disposizioni previste dalla legge per tale procedura.
Queste previsioni normative, però, non comportano l’esclusione dell’obbligo, che vige in capo alla lavoratrice, di presentare al datore di lavoro due documenti.
Il primo è il certificato medico che attesta la gravidanza, nonché la data in cui dovrebbe avvenire il parto, da consegnare entro i due mesi che precedono tale “scadenza” presunta.
Il secondo documento è il certificato di nascita del figlio, o comunque una dichiarazione sostitutiva, da presentare entro un mese dall’avvenuto parto.
Tutela donne madri divieto di licenziamento.
Fondamentale, nella disciplina della tutela delle lavoratrici madri, è il Decreto Legislativo 151 del 2001.
In modo particolare, l’articolo 54, che prevede il divieto di licenziare la lavoratrice dal momento esatto in cui è stata accertata la gravidanza fino a quando il figlio non avrà compiuto un anno.
Attenzione, però, dal momento che esistono delle deroghe all’applicabilità di questa previsione normativa.
I casi che esulano da tale sfera, infatti, corrispondono per esempio alla colpa grave della lavoratrice che porta comunque inevitabilmente al termine del rapporto di lavoro.
Oppure quando l’azienda alle cui dipendenze si trova la lavoratrice cessa la sua attività, oppure quando non ha completato positivamente il periodo di prova prima dell’assunzione.
Nel caso in cui, però, la lavoratrice abbia subito il licenziamento per motivazioni differenti, ci pensa la legge a rendere nulla la risoluzione del contratto di lavoro.
Il DL può essere sanzionato è può ricevere un ammenda in caso di controllo tra 1000 e oltre 2500 euro.
Tutela donne madri divieto lavoro notturno.
Un altro aspetto molto interessante della disciplina che riguarda le donne lavoratrici in stato di gravidanza e quelle che hanno già avuto un figlio si riferisce al divieto di lavoro notturno.
È la stessa legge a prevedere come il datore di lavoro non possa assegnare le donne madri a mansioni da svolgere in orario o lavoro notturno, ovvero nel periodo che va dalla mezzanotte fino alle sei del mattino, tra la fase di gravidanza e il compimento del primo anno di vita del figlio.
La lavoratrice ha pure la facoltà di essere esonerata dal lavoro durante la fascia oraria notturna quando ha un bambino che ha meno di tre anni, oppure se è il solo genitore ad aver ricevuto l’affidamento di un minore convivente che ha meno di 12 anni, oppure se sostiene a proprio carico un familiare con handicap grave.
Anche secondo tali previsioni, qualora il datore di lavoro non dovesse rispettare la disciplina legislativa, verrà sanzionato con un’ammenda che va da 516 fino a 2582 euro, ma nei casi più gravi potrà anche essere arrestato (arresto da 2 fino a 4 mesi di reclusione).
Tutela controlli prenatali.
La tutela donne madri i controlli prenatali :
Sempre il Testo Unico pone in capo alla lavoratrice madre un altro diritto, ovvero quello di poter sfruttare dei permessi orari retribuiti, che servono per eseguire degli esami clinici prenatali oppure delle visite mediche con specialisti, a patto che tali appuntamenti coincidano con l’orario di lavoro.
Sarà compito della stessa lavoratrice, quindi, presentare, successivamente alla visita, la specifica documentazione che certifica lo svolgimento di tale esame prenatale con la data oraria in cui è avvenuto.
È chiaro che questi permessi concessi e retribuiti alla e donne madri devono includere anche il tempo necessario per poter andare e tornare dalla sede di lavoro fino alla struttura specialistica in cui deve essere svolto l’esame.
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