La videosorveglianza nei luoghi di lavoro.
La Videosorveglianza nei luoghi di lavoro è argomento e tema complesso da affrontare in azienda avendo chiare quelle che sono le regole da applicare.
D’altronde, come si può fronteggiare correttamente la tutela della privacy dei dipendenti con le necessità di sicurezza espresse dal datore di lavoro?
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Proviamo a riassumere brevemente che cosa prevede la legge e come possono comportarsi le aziende.
La tutela della privacy dei dipendenti.
Quando si parla di videosorveglianza un buon punto di partenza è comprendere come si possa coniugare la protezione dei dati personali.
Il titolare del trattamento è individuato nel soggetto pubblico o privato che determina modi del trattamento dei dati personali con riferimento alla videosorveglianza in azienda.
Partendo da questo concetto si può fare un piccolo passo in avanti nei confronti del principio di responsabilizzazione di cui al GDPR 2016, secondo cui il titolare del trattamento è responsabile delle attività poste in essere, dandone conto a tutti quei i soggetti a cui sono riconducibili i dati trattati (i c.d. interessati), oltre che – in determinati casi – al Garante per la protezione dei dati personali e all’autorità giudiziaria.
La materia è poi arricchita dalla doppia informativa e dalla cartellonistica, un’informativa minima che era già presente prima del GDPR.
In estrema sintesi per la videosorveglianza nei luoghi di lavoro , l’apposizione del cartello “Area videosorvegliata” deve essere collocato prima del raggio di azione del sistema di videosorveglianza e in una posizione che sia chiaramente visibile.
L’informativa minima dovrà contenere alcune informazioni essenziali come:
- i dati di contatto del titolare del trattamento
- i dati del Responsabile della Protezione dei Dati
- le finalità del trattamento
- la base giuridica (l’interesse legittimo del titolare ex art. 6, comma 1, lett. f del GDPR)
- i destinatari del trattamento
- l’eventuale trasferimento degli stessi all’estero
- i diritti dell’interessato ex artt. 15, 16, 17, 18 e 21
- le finalità del trattamento: protezione e incolumità degli individui, protezione della proprietà, rilevazione, prevenzione e controllo delle infrazioni svolti dai soggetti pubblici.
La videosorveglianza nei luoghi di lavoro.
La videosorveglianza nei luoghi di lavoro ,come abbiamo anticipato, il tema della videosorveglianza in azienda è piuttosto complesso e non può essere considerato evaso con il semplice richiamo alla tutela della privacy.
Bisogna infatti anche richiamare alla mente le regole per la tutela del lavoratore, affiancando GDPR lo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970).
A proposito, cosa dice lo statuto?
L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori richiama il divieto generale del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori tramite videosorveglianza.
Tuttavia, la norma contempla anche la necessità da parte del datore di lavoro di installare impianti audiovisivi per altri fini che siano espressamente indicati, quali :
- le esigenze organizzative e produttive,
- la sicurezza sul lavoro,
- e la tutela del patrimonio aziendale.
All’interno di questo recinto interpretativo, il datore di lavoro può dunque installare un sistema di videosorveglianza seguendo una prevista procedura per cui, insieme alle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) o aziendali (RSA), deve essere sottoscritto o deve sottoscrivere un accordo collettivo che contiene la regolamentazione del funzionamento e dell’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza.
Nel caso in cui l’accordo non venga raggiunto, o nel caso in cui in azienda non siano presenti la rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o aziendale (RSA), il datore di lavoro deve rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro territoriale e domandare l’autorizzazione all’installazione dell’impianto di videosorveglianza dopo aver depositato un’istanza ampiamente motivata.
Cosa dice la giurisprudenza per la videosorveglianza nei luoghi di lavoro.
La videosorveglianza nei luoghi di lavoro comprende, come spesso accade, un quadro giuridico anche complesso che sfocia in sentenze di legittimità .
E così non possiamo non citare la sentenza n. 3255/2021 con cui la Terza sezione penale della Corte di Cassazione si è espressa sul tema della videosorveglianza in azienda con una pronuncia che potrebbe far discutere, ma che di certo avrà un impatto molto significativo sul comportamento del datore di lavoro in materia di impianti di videosorveglianza.
Per comprendere che cosa sia stato formulato con tale pronuncia facciamo un piccolo passo indietro fino alla sentenza di primo grado del 19 giugno 2019 da parte del Tribunale di Viterbo, che aveva ritenuto responsabile del reato di cui agli art. 4, primo e secondo comma, e 38 della legge del 20 maggio 1970, n. 300 un datore di lavoro, con conseguente multa di 200 euro di ammenda.
Secondo i giudici di prime cure, l’imputato aveva installato impianti di videosorveglianza all’interno dell’azienda potenzialmente utilizzabili per il controllo a distanza dei dipendenti, senza aver chiesto l’accordo delle rappresentanze sindacali, o l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Dal canto suo, la difesa dell’imputato affermava che gli impianti di videosorveglianza installati nei locali dell’organizzazione non erano in realtà degli strumenti di controllo che potevano ledere la libertà e la dignità dei lavoratori, ma sistemi difensivi a tutela del patrimonio aziendale.
Come conseguenza di ripetute mancanze di merce nel magazzino, il datore di lavoro aveva scelto di ricorrere all’installazione di impianti di videosorveglianza che, tuttavia, erano rivolti solo verso la cassa e le scaffalature, e non sulla generalità elle aree di lavoro dei dipendenti.
Ora, la Corte ha osservato come il comportamento vietato di cui agli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori consiste nell’installazione di impianti audiovisivi o altri strumenti da cui derivi anche la sola possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Questi strumenti possono dunque essere utilizzati solo ed esclusivamente per il rispetto e la soddisfazione delle necessità organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
Pertanto, è penalmente rilevante anche la sola potenzialità del controllo a distanza dei dipendenti, configurando un reato di pericolo, e non solo il reale svolgimento delle attività di controllo mediante il sistema di videosorveglianza.
Ciò premesso, la Corte ha anche assunto in considerazione la recente elaborazione giurisprudenziale in tema di utilizzabilità come prove nel processo penale dei risultati delle videoriprese effettuate sul luogo di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali competenti e di previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Secondo un orientamento giurisprudenziale maggioritario e quasi consolidato, infatti, i risultati delle videoriprese che sono state realizzate per la tutela del patrimonio aziendale che è posto a rischio da possibili comportamenti lesivi dei lavoratori, sono utilizzabili nel processo penale, poiché, sostiene la Corte nella sua ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale, “le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio”.
Si richiama poi una precedente sentenza – la n. 20722/2010 – con cui la stessa Corte aveva già anticipato il principio secondo cui gli art. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori inducono la realizzazione di un accordo sindacale a fini di riservatezza dei lavoratori nello svolgimento della propria attività professionale nell’impresa, ma non implicano certamente il divieto dei controlli difensivi del patrimonio aziendale da azioni delittuose da chiunque provenienti.
Riassumendo la videosorveglianza nei luoghi di lavoro.
Di fatti, si legge in tale sentenza, “la finalità di controllo a difesa del patrimonio aziendale non è da ritenersi sacrificata dalle norme dello Statuto dei lavoratori”, sulla base della valutazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che deve ispirarsi ad un equo e ragionevole bilanciamento fra il disposto costituzionale che assicura il rispetto del diritto alla dignità e alla libertà del lavoratore nell’esercizio delle sue prestazioni professionali oltre al diritto del cittadino al rispetto della propria persona e della possibilità di svolgere il proprio libero esercizio delle attività imprenditoriale.
Insomma, la Corte di Cassazione ha annullato la pronuncia impugnata rinviando ai giudici di prima cure il caso, affermando come debba escludersi la possibilità di configurare il reato sulla violazione della disciplina di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, “quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate, o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale.
Tutto ciò , sempre, però, che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o debba restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi”
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